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03/11/2012
Daily Amardesh -আজঃ ঢাকা, রোববার ৪ নভেম্বর ২০১২, ২০ কার্তিক ১৪১৯, ১৮ জিলহজ ১৪৩৩
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Placebo – B3
Placebo – B3:
Per festeggiare il nuovo contratto con la Universal, siglato a metà settembre, i Placebo pubblicano questo EP che segna il grande ritorno nel musicbiz, minacciando addirittura di pubblicare un nuovo album per l’anno prossimo.
Cosa di può dire su “B3”? Se fino ad ora avete seguito gli sviluppi della carriera dei Placebo, da “Sleeping with Ghosts” in poi, non c’è molto altro da aggiungere. “B3” è un episodio insignificante di un percorso artistico che ha ormai da secoli perso smalto, argomenti, verve, pulsazioni, guardaroba. I Placebo hanno smarrito la bussola e l’ispirazione ormai da un decennio, se non fosse per qualche b-side più coraggiosa come ad esempio “Evalia”, “Soulmates”, “Drink you pretty”, dove mostravano ancora qualche barlume di capacità creativa, non starei qui a parlarne. Chi scrive infatti è una ex-fan redenta, una di quelle che andava ai concerti, comprava cianfrusaglie con l’effige di Molko sgambato e truccato, collezionava copertine di riviste, articoli, bootleg a non finire e singoli su singoli comprati tramite aste online.
Fino a “Without you I’m Nothing” è stato tutto bellissimo, però l’illusione d’assistere a qualcosa di grande che via via sfumava si era concretizzato fin dai primi segni di calvizie di Brian, il quale sempre più disperato si arrangiava in tagli sempre più ridotti per tentare di salvare le apparenze. Un po’ come Sansone, più il cuoio capelluto veniva meno più i Placebo perdevano l’ispirazione. Come per i pistacchi fuori stagione (per trovarne qualcuno decente bisognava ravanare alla cieca nel sacchetto, fin quando non beccavi quello bello tornito da assaporare con avidità), in ugual modo per trovare qualcosa di buono nella discografia dei Placebo bisognava addentrarsi dentro le outtake e le b-sides, per riuscire a trovare quella dose sufficiente di brani che ti facessero sentire ancora il brivido provato a suo tempo, quell’eco di sensazioni ormai non più proponibili.
La facciata shoegaze decadente s’era sfaldata in favore di un più rassicurante pop-rock svogliatamente trasgressivo. Ad un certo punto anche lo stesso Steve Hewitt, il batterista storico, ha detto basta, non potendo più sopportare la deriva rock d’accatto che la band aveva intrapreso, decidendo di piantare il gruppo in favore di un progetto inedito, i Love Amongst Ruin che hanno un suono simile a quello dei Placebo degli esordi, sensibile e acidulo insieme, che Brian Molko e Stefan Olsdal non ebbero l’intenzione di far evolvere.
I Placebo reagiscono alla dipartita assumendo un altro batterista, pescato come premio partita alla sagra del tatuaggio, un certo Steve Forrest, di venti anni più giovane rispetto ai due. Escono dalla Mute che intanto ne approfitta per pubblicare tutto il loro catalogo, tra cui live e cover, e mettono sul mercato quell’indecenza di “Battle for The Sun” . Questa volta Molko rinuncia ai tagli cool e si affida direttamente alle extension, perché ormai dove gli si è chiusa la fontanella è più liscio di un display touchscreen, e le ciocche posticce sono l’unica soluzione ponderabile. Soluzione adottata anche per l’album, un sommario di tutti i luoghi comuni più tristi della forma canzone pop-rock, con tanto di salto sul carro dei vincitori piazzando qui e là arrangiamenti orchestrali, giusto per ingraziarsi i fan dei Coldplay.
“B3” tutto sommato non è così terribile, certo di idee nemmeno l’ombra, innovazione neanche a parlarne, però forse qualcosa timidamente si muove. Su 5 brani c’è “The Extra” che proprio da buttare non è, brano accattivante dove i Placebo volano basso, tentando la strada di un intimismo questa volta (poco più) maturo di quello a cui ci hanno abituati.
I Placebo sopravvivono grazie alla retorica del “tutto sommato” già da diversi anni, è uno sconto che chiunque gli concede perché, in un passato remoto, li abbiamo amati tutti e per motivi musicali e per la parlantina di Brian Molko. Queste continue pacche sulle spalle nonostante i risultati gli hanno forse fatto più male che bene, quindi prendiamo per buono l’esempio della Merkel e adottiamo anche noi la linea dura.
Bocciati su tutta la linea, esigiamo dai Placebo un rinsavimento istantaneo perché ne hanno le capacità. Pretendiamo che si riprendano seduta stante dal torpore e dall’indolenzimento in cui hanno sguazzato per anni e realizzino un album appassionato, vibrante, come quelli che hanno dimostrato in passato di saper realizzare.
Fino a quel momento toccherà bocciarli senza pietà, in quanto non ne hanno avuta alcuna per i poveri ascoltatori.
Placebo – B3 pubblicato su Indie For BUNNIES
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Per festeggiare il nuovo contratto con la Universal, siglato a metà settembre, i Placebo pubblicano questo EP che segna il grande ritorno nel musicbiz, minacciando addirittura di pubblicare un nuovo album per l’anno prossimo.
Cosa di può dire su “B3”? Se fino ad ora avete seguito gli sviluppi della carriera dei Placebo, da “Sleeping with Ghosts” in poi, non c’è molto altro da aggiungere. “B3” è un episodio insignificante di un percorso artistico che ha ormai da secoli perso smalto, argomenti, verve, pulsazioni, guardaroba. I Placebo hanno smarrito la bussola e l’ispirazione ormai da un decennio, se non fosse per qualche b-side più coraggiosa come ad esempio “Evalia”, “Soulmates”, “Drink you pretty”, dove mostravano ancora qualche barlume di capacità creativa, non starei qui a parlarne. Chi scrive infatti è una ex-fan redenta, una di quelle che andava ai concerti, comprava cianfrusaglie con l’effige di Molko sgambato e truccato, collezionava copertine di riviste, articoli, bootleg a non finire e singoli su singoli comprati tramite aste online.
Fino a “Without you I’m Nothing” è stato tutto bellissimo, però l’illusione d’assistere a qualcosa di grande che via via sfumava si era concretizzato fin dai primi segni di calvizie di Brian, il quale sempre più disperato si arrangiava in tagli sempre più ridotti per tentare di salvare le apparenze. Un po’ come Sansone, più il cuoio capelluto veniva meno più i Placebo perdevano l’ispirazione. Come per i pistacchi fuori stagione (per trovarne qualcuno decente bisognava ravanare alla cieca nel sacchetto, fin quando non beccavi quello bello tornito da assaporare con avidità), in ugual modo per trovare qualcosa di buono nella discografia dei Placebo bisognava addentrarsi dentro le outtake e le b-sides, per riuscire a trovare quella dose sufficiente di brani che ti facessero sentire ancora il brivido provato a suo tempo, quell’eco di sensazioni ormai non più proponibili.
La facciata shoegaze decadente s’era sfaldata in favore di un più rassicurante pop-rock svogliatamente trasgressivo. Ad un certo punto anche lo stesso Steve Hewitt, il batterista storico, ha detto basta, non potendo più sopportare la deriva rock d’accatto che la band aveva intrapreso, decidendo di piantare il gruppo in favore di un progetto inedito, i Love Amongst Ruin che hanno un suono simile a quello dei Placebo degli esordi, sensibile e acidulo insieme, che Brian Molko e Stefan Olsdal non ebbero l’intenzione di far evolvere.
I Placebo reagiscono alla dipartita assumendo un altro batterista, pescato come premio partita alla sagra del tatuaggio, un certo Steve Forrest, di venti anni più giovane rispetto ai due. Escono dalla Mute che intanto ne approfitta per pubblicare tutto il loro catalogo, tra cui live e cover, e mettono sul mercato quell’indecenza di “Battle for The Sun” . Questa volta Molko rinuncia ai tagli cool e si affida direttamente alle extension, perché ormai dove gli si è chiusa la fontanella è più liscio di un display touchscreen, e le ciocche posticce sono l’unica soluzione ponderabile. Soluzione adottata anche per l’album, un sommario di tutti i luoghi comuni più tristi della forma canzone pop-rock, con tanto di salto sul carro dei vincitori piazzando qui e là arrangiamenti orchestrali, giusto per ingraziarsi i fan dei Coldplay.
“B3” tutto sommato non è così terribile, certo di idee nemmeno l’ombra, innovazione neanche a parlarne, però forse qualcosa timidamente si muove. Su 5 brani c’è “The Extra” che proprio da buttare non è, brano accattivante dove i Placebo volano basso, tentando la strada di un intimismo questa volta (poco più) maturo di quello a cui ci hanno abituati.
I Placebo sopravvivono grazie alla retorica del “tutto sommato” già da diversi anni, è uno sconto che chiunque gli concede perché, in un passato remoto, li abbiamo amati tutti e per motivi musicali e per la parlantina di Brian Molko. Queste continue pacche sulle spalle nonostante i risultati gli hanno forse fatto più male che bene, quindi prendiamo per buono l’esempio della Merkel e adottiamo anche noi la linea dura.
Bocciati su tutta la linea, esigiamo dai Placebo un rinsavimento istantaneo perché ne hanno le capacità. Pretendiamo che si riprendano seduta stante dal torpore e dall’indolenzimento in cui hanno sguazzato per anni e realizzino un album appassionato, vibrante, come quelli che hanno dimostrato in passato di saper realizzare.
Fino a quel momento toccherà bocciarli senza pietà, in quanto non ne hanno avuta alcuna per i poveri ascoltatori.
B3
[ Universal - 2012 ]
Similar Artist: Placebo, Love Amongst Ruin, Trash Palace
Rating:
[ Universal - 2012 ]
Similar Artist: Placebo, Love Amongst Ruin, Trash Palace
Rating:
1. B3
2. I Know You Want To Stop
3. The Extra
4. I Know Where You Live
5. Time is Money
2. I Know You Want To Stop
3. The Extra
4. I Know Where You Live
5. Time is Money
Placebo – B3 pubblicato su Indie For BUNNIES
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TRACK STREAM: Dumbo Gets Mad – Radical Leap
TRACK STREAM: Dumbo Gets Mad – Radical Leap:
Nuovo singolo per l’italiano Dumbo Gets Mad.
Grazie al sito Yours Truly recuperiamo lo streaming di “Radical Leap” primo estratto dal nuovo LP “Quantum Leap”, disco che vedrà la luce il prossimo anno su Bad Panda Records.
TRACK STREAM: Dumbo Gets Mad – Radical Leap pubblicato su Indie For BUNNIES
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Nuovo singolo per l’italiano Dumbo Gets Mad.
Grazie al sito Yours Truly recuperiamo lo streaming di “Radical Leap” primo estratto dal nuovo LP “Quantum Leap”, disco che vedrà la luce il prossimo anno su Bad Panda Records.
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Vinci SHEARWATER @ Bologna
Vinci SHEARWATER @ Bologna:
Trascinati dall’ambizione e dal talento del frontman fondatore Jonathan Meiburg, già negli Okkervil River di Will Sheff, gli Shearwater presentano la loro ultima fatica, il settimo album in studio chiamato “Animal Joy”, per la prima volta targato SUB POP Records.
Registrato ad Austin da Danny Reisch (Okkervil River, Spoon) e mixato da Peter Katis (The National, Interpol, Jonsi, Frightened Rabbit), questo album ripercorre i solchi lasciati dalla trilogia “Island Arc” (“Palo Santo”, “Rook” e “The Golden Archipelago”) edita da Matador.
Shearwater arricchiscono però il proprio suono con una rinnovata capacità compositiva e con tematiche che aprono ad un orizzonte intimo e toccante, creando così un’atmosfera intensamente personale che colpisce e rapisce chi ascolta.
Sicuramente il disco della consacrazione, se ancora ce ne fosse bisogno …
Gli Shearwater suoneranno Sabato 10 Novembre al Covo Club di Bologna.
IndieForBunnies mette in palio 1 biglietto valido per questa imperdibile data.
Aggiudicarsi il premio e’ facile. Lasciate un commento a questo articolo scrivendo semplicemente “VOGLIO GLI SHEARWATER”.
Il fortunato vincitore verra’ estratto a sorte tra i commenti.
Vi ricordiamo quindi di indicare nel campo “Mail (che non verrà pubblicata)” il vostro indirizzo di posta elettronica.
In caso di vittoria verrete ricontattati via mail.
Link:
Vinci SHEARWATER @ Bologna pubblicato su Indie For BUNNIES
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Trascinati dall’ambizione e dal talento del frontman fondatore Jonathan Meiburg, già negli Okkervil River di Will Sheff, gli Shearwater presentano la loro ultima fatica, il settimo album in studio chiamato “Animal Joy”, per la prima volta targato SUB POP Records.
Registrato ad Austin da Danny Reisch (Okkervil River, Spoon) e mixato da Peter Katis (The National, Interpol, Jonsi, Frightened Rabbit), questo album ripercorre i solchi lasciati dalla trilogia “Island Arc” (“Palo Santo”, “Rook” e “The Golden Archipelago”) edita da Matador.
Shearwater arricchiscono però il proprio suono con una rinnovata capacità compositiva e con tematiche che aprono ad un orizzonte intimo e toccante, creando così un’atmosfera intensamente personale che colpisce e rapisce chi ascolta.
Sicuramente il disco della consacrazione, se ancora ce ne fosse bisogno …
Gli Shearwater suoneranno Sabato 10 Novembre al Covo Club di Bologna.
IndieForBunnies mette in palio 1 biglietto valido per questa imperdibile data.
Aggiudicarsi il premio e’ facile. Lasciate un commento a questo articolo scrivendo semplicemente “VOGLIO GLI SHEARWATER”.
Il fortunato vincitore verra’ estratto a sorte tra i commenti.
Vi ricordiamo quindi di indicare nel campo “Mail (che non verrà pubblicata)” il vostro indirizzo di posta elettronica.
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Close-up on Suzanne Vega
Close-up on Suzanne Vega:
Su queste pagine ho già scritto molte volte di Suzanne Vega, e ogni volta dico con parole diverse più o meno le stesse cose. Ad esempio, un paio d'anni fa, parlando di Close-up, Vol. 1 – Love songs, scrivevo:
Nel mentre la serie Close-up è arrivata al quarto e ultimo volume Close-up, Vol 4 – Songs of family, che è quello che contiene meno canzoni famose dei quattro, ma forse alcune delle più belle. La raccolta si apre con Rosemary, che, benchè non stia su nessun album, è la mia canzone preferita della folksinger newyorkese (8 anni fa vi ho spiegato il perchè) e continua con parecchi dei brani migliori della sua produzione più recente.
Brani che certamente non mancheranno nelle date sel suo tour italiano, che parte stasera da Bologna e continua fino a venerdì passando anche per Salerno, Caserta e Roma. Sinceramente ho perso il conto di quante volte l'ho vista dal vivo (una quindicina, a occhio), e ovviamente anche a questo giro non posso evitarlo (ma ho preferito la data di Roma di venerdì alle due esose date bolognesi di oggi e domani). Che l'abbiate già vista dal vivo o che non la conosciate, fossi in voi non me la perderei.
MP3 Suzanne Vega – Rosemary (Close-up version)
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Su queste pagine ho già scritto molte volte di Suzanne Vega, e ogni volta dico con parole diverse più o meno le stesse cose. Ad esempio, un paio d'anni fa, parlando di Close-up, Vol. 1 – Love songs, scrivevo:
Se non è da sempre, sicuramente è da molti anni che Suzanne Vega è fuori dai giri cool (provate a cercarla su Pitchfork: zero risultati). Una carriera lunga e lentissima (7 album in 25 anni), intermezzata da anni di silenzio e da una vita placida lontana da ogni tentazione di jet set (anche di quello indipendente). Nel 2010 è tornata in studio, non per incidere materiale nuovo ma per dare nuova veste e nuova vita a molte delle canzoni pubblicate negli anni, spesso non valorizzate da arrangiamenti inutilmente barocchi e produzioni pallide figlie dei loro tempi. Qua c'è la voce, la chitarra e il minimo indispensabile di strumenti per dare personalità al sound: il resto è la canzone, nuda, con melodie bellissime e testi inarrivabili. Un disco nuovo. [#]
MP3 Suzanne Vega - Some journey
MP3 Suzanne Vega - Headshots
Nel mentre la serie Close-up è arrivata al quarto e ultimo volume Close-up, Vol 4 – Songs of family, che è quello che contiene meno canzoni famose dei quattro, ma forse alcune delle più belle. La raccolta si apre con Rosemary, che, benchè non stia su nessun album, è la mia canzone preferita della folksinger newyorkese (8 anni fa vi ho spiegato il perchè) e continua con parecchi dei brani migliori della sua produzione più recente.
Brani che certamente non mancheranno nelle date sel suo tour italiano, che parte stasera da Bologna e continua fino a venerdì passando anche per Salerno, Caserta e Roma. Sinceramente ho perso il conto di quante volte l'ho vista dal vivo (una quindicina, a occhio), e ovviamente anche a questo giro non posso evitarlo (ma ho preferito la data di Roma di venerdì alle due esose date bolognesi di oggi e domani). Che l'abbiate già vista dal vivo o che non la conosciate, fossi in voi non me la perderei.
MP3 Suzanne Vega – Rosemary (Close-up version)
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In questo mondo digitale la capacità vincente è quella di… saper unire i puntini!
In questo mondo digitale la capacità vincente è quella di… saper unire i puntini!:
Nello scenario delle nuove professioni il digitale ha sicuramente un ruolo importante e ricco di sfaccettature, tanto che ancora oggi è piuttosto difficile classificare ruoli e competenze, in molti casi davvero specialistiche ma non per questo meno utili.
Il continuo aumento della complessità e la velocità dei cambiamenti dal canto loro non aiutano certo a mettere facilmente dei punti fermi, rassicuranti e sempre uguali a se stessi.
In più, la content curation e i filtri più o meno automatici che gli strumenti online offrono permettono un’esperienza sempre più su misura di fruizione dei contenuti che però, talvolta, rischia di rendere ciechi rispetto all’insieme.
Questa apparente frammentazione nasconde tuttavia un’opportunità straordinaria per delle persone che non sono né imprenditori che creano nuove startup né specialisti di settore che conoscono ogni piega di uno specifico ambito: quella di poter cogliere i fenomeni emergenti e collegarli in un unico disegno.
Il social ne è un esempio piuttosto emblematico: cambiano infatti i player ma per chi ha saputo impostare una strategia in cui questi strumenti sono solo una parte di un mondo di contenuti e di idee più vasto e sotto il proprio pieno controllo questo fatto non è che un dettaglio.
Ancora di più tali considerazioni valgono per il mobile, una tecnologia che sta diventando la chiave per collegare il mondo fisico a quello virtuale e viceversa, fino a giungere a punte davvero spinte come nel caso del so.lo.mo.
Il valore attribuito a tante startup del settore (tra cui l’Italiana Glancee) deriva proprio dal loro prestarsi a numerosi scopi che il marketer può inventare a partire dalla propria strategia di insieme.
Il big data infine è un altro degli esempi che si possono fare per evidenziare come da una quantità enorme e caotica di dati si possa generare una visione di insieme che costituisce un vero vantaggio competitivo.
Bene lo hanno capito i big della rete come Facebook, Microsoft, Apple, Amazon e tanti altri che stanno costruendo un’offerta a 360 gradi fatta di hardware, software, contenuti e esperienze.
Bisogna però sapere cogliere i trend e capire come collegare fra loro tanti mezzi che, presi singolarmente, hanno in fondo un valore relativo e soggetto alle mode.
Chi invece riesce a capire come tessere una tela con tutte le opportunità che gli capitano davanti, con una mente aperta e con le competenze giuste può davvero cambiare l’azienda, le sue sorti e la sua organizzazione.
Il web non era (ed è) fatto di link? Ecco, anche l’ecosistema digitale alla fine non è altro che qualcosa che innerva il business e la società e che chiede di essere sfruttato e capito, senza essere schiavi della tecnologia del singolo momento.
Voi che cosa ne pensate? Quali sono le vostre sensazioni in materia?
Gianluigi Zarantonello via http://internetmanagerblog.com/
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Nello scenario delle nuove professioni il digitale ha sicuramente un ruolo importante e ricco di sfaccettature, tanto che ancora oggi è piuttosto difficile classificare ruoli e competenze, in molti casi davvero specialistiche ma non per questo meno utili.
Il continuo aumento della complessità e la velocità dei cambiamenti dal canto loro non aiutano certo a mettere facilmente dei punti fermi, rassicuranti e sempre uguali a se stessi.
In più, la content curation e i filtri più o meno automatici che gli strumenti online offrono permettono un’esperienza sempre più su misura di fruizione dei contenuti che però, talvolta, rischia di rendere ciechi rispetto all’insieme.
Questa apparente frammentazione nasconde tuttavia un’opportunità straordinaria per delle persone che non sono né imprenditori che creano nuove startup né specialisti di settore che conoscono ogni piega di uno specifico ambito: quella di poter cogliere i fenomeni emergenti e collegarli in un unico disegno.
Il social ne è un esempio piuttosto emblematico: cambiano infatti i player ma per chi ha saputo impostare una strategia in cui questi strumenti sono solo una parte di un mondo di contenuti e di idee più vasto e sotto il proprio pieno controllo questo fatto non è che un dettaglio.
Ancora di più tali considerazioni valgono per il mobile, una tecnologia che sta diventando la chiave per collegare il mondo fisico a quello virtuale e viceversa, fino a giungere a punte davvero spinte come nel caso del so.lo.mo.
Il valore attribuito a tante startup del settore (tra cui l’Italiana Glancee) deriva proprio dal loro prestarsi a numerosi scopi che il marketer può inventare a partire dalla propria strategia di insieme.
Il big data infine è un altro degli esempi che si possono fare per evidenziare come da una quantità enorme e caotica di dati si possa generare una visione di insieme che costituisce un vero vantaggio competitivo.
Bene lo hanno capito i big della rete come Facebook, Microsoft, Apple, Amazon e tanti altri che stanno costruendo un’offerta a 360 gradi fatta di hardware, software, contenuti e esperienze.
Bisogna però sapere cogliere i trend e capire come collegare fra loro tanti mezzi che, presi singolarmente, hanno in fondo un valore relativo e soggetto alle mode.
Chi invece riesce a capire come tessere una tela con tutte le opportunità che gli capitano davanti, con una mente aperta e con le competenze giuste può davvero cambiare l’azienda, le sue sorti e la sua organizzazione.
Il web non era (ed è) fatto di link? Ecco, anche l’ecosistema digitale alla fine non è altro che qualcosa che innerva il business e la società e che chiede di essere sfruttato e capito, senza essere schiavi della tecnologia del singolo momento.
Voi che cosa ne pensate? Quali sono le vostre sensazioni in materia?
Gianluigi Zarantonello via http://internetmanagerblog.com/
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Mircosoft, Samsung, Apple: Natale in adv
Mircosoft, Samsung, Apple: Natale in adv:
Si avvicina il periodo delle feste natalizie, miniera d’oro per le compagnie hi-tech, che con i loro dispositivi negli ultimi anni hanno dominato le liste dei regali per amici e parenti. Samsung, Apple, Amazon e Microsoft si preparano alla grande abbuffata con investimenti pubblicitari da capogiro, nella speranza che gli spot convincano gli utenti.
Lo scontro frontale comincia il prossimo fine settimana, con Microsoft che si appresta a vivere una tre giorni intensa come mai prima, con il lancio di Windows 8 in versione desktop e mobile. Redmond vorrebbe così iniziare la sua rivoluzione tecnica e commerciale, aiutata anche da una campagna da 1,6 miliardi di dollari su scala mondiale (“come nemmeno durante le elezioni presidenziali”, dicono dalla compagnia). Samsung foraggerà la linea Galaxy con un investimento di poco inferiore a quello di Mircosoft: la casa sudcoreana ha previsto un budget pubblicitario di 2,7 miliardi di dollari per il 2012, la sfida ad Apple è anche questione di marketing. Da parte sua, la Mela si limita a campagne di contenimento, forte dell’aura del suo marchio, cui basta un accenno per rendere i prodotti riconoscibili e appetibili. Così, a Cupertino non spenderanno più di 1 miliardo di dollari in pubblicità, nell’anno in corso. Nella lotta tra giganti, non può mancare Amazon, che non può contare sulle rivendite fisiche dei suoi ammennicoli, ma ha una base di clienti invidiabile. Jeff Bezos ha messo a disposizione 1,4 miliardi di dollari per lanciare Kindle Paperback e Fire Hd. Il basso costo dei due prodotti potrebbe aiutare a farne due best seller natalizi.
Un caso particolare è invece quello di Google. A Mountain View vendono prodotti o, meglio, contenuti (tramite Play) e software per dispositivi mobili (Android), ma fanno anche da principale collettore di pubblicità online (con il motore di ricerca). Da una parte, Google spende 1,5 miliardi di dollari per spingere la linea Nexus e i suoi servizi, dall’altra è il primo beneficiario degli investimenti in adv dei suoi rivali. Gli americani la chiamerebbero una ‘win win situation’: BigG vince in ogni caso. Non a caso l’Antitrust Usa sta spulciando bilanci e strategie del motore di ricerca. I dominatori, spesso, hanno qualche scheletro nell’armadio.
Via Quo Media
http://banglamdfarid-com.webs.com/www.banglamdfarid.com
Si avvicina il periodo delle feste natalizie, miniera d’oro per le compagnie hi-tech, che con i loro dispositivi negli ultimi anni hanno dominato le liste dei regali per amici e parenti. Samsung, Apple, Amazon e Microsoft si preparano alla grande abbuffata con investimenti pubblicitari da capogiro, nella speranza che gli spot convincano gli utenti.
Lo scontro frontale comincia il prossimo fine settimana, con Microsoft che si appresta a vivere una tre giorni intensa come mai prima, con il lancio di Windows 8 in versione desktop e mobile. Redmond vorrebbe così iniziare la sua rivoluzione tecnica e commerciale, aiutata anche da una campagna da 1,6 miliardi di dollari su scala mondiale (“come nemmeno durante le elezioni presidenziali”, dicono dalla compagnia). Samsung foraggerà la linea Galaxy con un investimento di poco inferiore a quello di Mircosoft: la casa sudcoreana ha previsto un budget pubblicitario di 2,7 miliardi di dollari per il 2012, la sfida ad Apple è anche questione di marketing. Da parte sua, la Mela si limita a campagne di contenimento, forte dell’aura del suo marchio, cui basta un accenno per rendere i prodotti riconoscibili e appetibili. Così, a Cupertino non spenderanno più di 1 miliardo di dollari in pubblicità, nell’anno in corso. Nella lotta tra giganti, non può mancare Amazon, che non può contare sulle rivendite fisiche dei suoi ammennicoli, ma ha una base di clienti invidiabile. Jeff Bezos ha messo a disposizione 1,4 miliardi di dollari per lanciare Kindle Paperback e Fire Hd. Il basso costo dei due prodotti potrebbe aiutare a farne due best seller natalizi.
Un caso particolare è invece quello di Google. A Mountain View vendono prodotti o, meglio, contenuti (tramite Play) e software per dispositivi mobili (Android), ma fanno anche da principale collettore di pubblicità online (con il motore di ricerca). Da una parte, Google spende 1,5 miliardi di dollari per spingere la linea Nexus e i suoi servizi, dall’altra è il primo beneficiario degli investimenti in adv dei suoi rivali. Gli americani la chiamerebbero una ‘win win situation’: BigG vince in ogni caso. Non a caso l’Antitrust Usa sta spulciando bilanci e strategie del motore di ricerca. I dominatori, spesso, hanno qualche scheletro nell’armadio.
Via Quo Media
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Consigli non richiesti a un travel (e non solo) blogger #tbe12
Consigli non richiesti a un travel (e non solo) blogger #tbe12:
Villabianca di Marano, autunno.
Ci metto un po’, a digerire le cose. Odio dover fare live di qualsiasi cosa, livetweeting, liveblogging, liveinstagramming, non ci sono portato. Ci devo meditare sopra. Non ho mai la risposta pronta, se mai ho quella giusta. Comunque. Son passati dieci giorni dal Travel Blogger Elevator, e ho maturato alcune considerazioni (non richieste, prendetele solo se volete), di cui solo alcune son riuscito a esprimere nel panel:
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Villabianca di Marano, autunno.
Ci metto un po’, a digerire le cose. Odio dover fare live di qualsiasi cosa, livetweeting, liveblogging, liveinstagramming, non ci sono portato. Ci devo meditare sopra. Non ho mai la risposta pronta, se mai ho quella giusta. Comunque. Son passati dieci giorni dal Travel Blogger Elevator, e ho maturato alcune considerazioni (non richieste, prendetele solo se volete), di cui solo alcune son riuscito a esprimere nel panel:
- gli anglo-americani sono bravi, eh, c’hanno pure il media kit e calcolano il BROI (Blogger ROI) per i loro sponsor. Ma hanno anche un pubblico a disposizione che è dieci, cento, mille, volte tanto quello italico. Tenetelo a mente quando vi raccontano di pagine viste, follower, e anche e soprattutto di soldi che si possono guadagnare.
- Per guadagnare soldi bloggando, da soli, dovete sacrificare la vostra vita, il vostro tempo con quello dedicato al blog, ai social media, alla “raccolta pubblicitaria”. E’ matematica, dovreste lavorarci sopra sedici ore al giorno.
- In ogni caso, prima dei mille visitatori unici al giorno, è inutile anche solo pensare alla monetizzazione. E anche prima dei tre (ma penso quattro) anni dall’apertura del blog.
- La probabilità di guadagnare soldi in questo modo è equivalente a quella di diventare calciatori professionisti
- Se volete comunque tentare, decidete in quale campionato state giocando. In quello dei consulenti del futuro o in quello della micro-editoria dei prossimi anni? Sempre che vogliate partecipare in forma agonistica — come mi sembra dalla maggior parte.
- Mai, mai, mai farsi dettare la linea editoriale dagli sponsor, dalle destinazioni e dalle aziende. A loro interessa solo la visibilità, vi portano fuori strada per un pezzo di pane. Non svendete l’anima per un weekend. Non per motivi etico-religiosi, ma perché ai lettori non interessano i blog senz’anima. E dopo che non interessano più ai lettori, non interessano più nemmeno alle aziende.
- Non raffiguratevi gli sponsor, quando scrivete: pensate al vostro lettore e non ai vostri “colleghi”. Perché dovrebbe leggervi? In cosa siete diversi dagli altri? In cosa è diverso lui? Non mi dite vuole spendere poco/meno, che quello lo vogliono tutti. Tanto, quando diventerete davvero influenti, saranno le aziende a venirvi a cercare, in quanto diversi e specifici per un certo tipo di lettore, e vi si nota di più se non ci siete (cit.). E quindi non venderete Adsense, venderete la vostra consulenza.
- Quindi se parlate di birra, non potete parlare anche di spa. Anche se a me piacciono entrambe.
- Le aziende alla fine tengono in considerazione più le voci critiche di quanto ascoltino le voci facilmente ammaestrabili (queste finiscono alla rinfusa in liste che le agenzie di PR si copiano e incollano). Tenetene conto. Siate scomodi e rompiballe. A meno che non vi interessino le noccioline e basta.
- Non usate aggettivi superlativi. Anzi, non usate aggettivi e basta. I post con bellissimo, gustosissimo, simpaticissimo, stupendissimo stanno come il porno al sesso (cit.). Si capisce che la realtà del turista normale sarà differente.
- La trasparenza è giusta, la trasparenza vi consente di mescolare contenuto e pubblicità. Ma tenete conto che il pubbliredazionale e la pubblicità ibrida contribuiscono ad abbassare il valore di ciò che scrivete. Esattamente come per i giornali di carta, e come è stato per tutta la stampa di settore. Guardate le riviste di pubblicità (online e offline) infarcite di comunicati stampa e redazionali. Non se li fila più nessuno.
- Pensate che siete lì anche — come fine ultimo e superiore — per contribuire a creare un turismo migliore, e a volte questo passa attraverso qualcosa che non piacerà a chi ha costruito l’esperienza turistica degli ultimi trent’anni. Vi sembra un obiettivo così fuori portata? Non sottovalutatevi.
- E compratevi ‘sto cavolo di dominio, santocielo. Non dovete nemmeno iniziare, nel 2012, da un blog in Blogspot o in wordpress.com. Il visitatore e il PageRank (per capirci) deve essere vostro, non di Google o di WordPress. E scegliete UNA lingua. Scegliete quella in cui parlate. Si sente se non la parlate. E lo sente anche Google.
- se decantate il multimedia nei vostri pitch, non fate slide di solo testo. Anzi, in generale, non fate mai slide di testo. Anzi, non fate slide. Soprattutto usando il Comic Sans, o WordArt.
- Non sopravvalutate la potenza dei tweet e dei post sul mondo reale, soprattutto non vendetela allo scoperto. Io sono sei mesi che twitto e instagrammo foto di Villabianca, e non è mica diventata una località affollata di turisti, a occhio.
- Finitela di dire “ciao, sono un travel blogger”. Serve solo a rendervi uguali a tutti gli altri. E siccome il sindacato dei travel blogger non esiste, serve solo a rendervi mutuamente sostituibili agli occhi delle aziende e dei lettori.
- Perché i “blogger non esistono”, nemmeno i travel blogger #TBE12
- Pesto ai blogger vs racchette ai giornalisti (le PR 2.0)
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Our asteroid belt is unique -- and that’s why life may be rare in the Galaxy
Our asteroid belt is unique -- and that’s why life may be rare in the Galaxy:
By George Dvorsky
Our asteroid belt, which is situated between Jupiter and Mars, has traditionally been seen as something of a nuisance. Every once in awhile one of these rocks dislodges itself and heads straight for Earth, what often results in a cataclysmic impact. But ironically, as a new study from the University of Colorado suggests, we may owe our very existence to these chunks of displaced rocks. And according to the researchers, our asteroid belt appears to be unique as far as these things go — what may be contributing to the dearth of life in the galaxy.
Astronomers and astrobiologists are increasingly coming to see asteroid belts as an important component to solar system composition, planet formation, and the emergence of life.
Despite the astronomical chaos produced by impact events, asteroids delivered water, organic compounds, and heavy elements to Earth — what are all crucial for the emerge of life. They were also likely responsible for the formation of our moon (which we know is crucial for seasonal stability), and even the introduction of life itself (via panspermia). Moreover, by virtue of their ability to cause mass extinctions, asteroids may have contributed to crucial periodic phases in the evolution of complex life — the rebooting of life such that intelligence had a chance to get started (what biologist Stephen J. Gould referred to as ‘punctuated equilibrium’ phases).
And according to researchers Rebecca Martin (University of Colorado) and Mario Livio (Space Telescope Science Institute in Baltimore, Md.), not every solar system has an asteroid belt like ours — and not by a long shot. In fact, only 4% of all observed solar systems have an asteroid belt that sits past the so-called “snow line” — a celestial demarcation point that divides the inner solar system from the colder outlying regions where volatile materials such as water ice are far enough from the sun to remain intact.
The reason why our asteroid belt resides beyond the snow line is no mystery: Jupiter. And as many astronomers are now discovering, most solar systems have a giant planet that resides well inside the snow line — what may account for the rarity of asteroid belts like ours.
Soon after forming from the sun’s primordial protoplanetary disk, the gas giant’s tremendous gravity would have prevented nearby materials inside its orbit from coalescing and turning into a planet. Instead, Jupiter caused these materials to collide and break apart — creating fragmented rocks that settled into what eventually became the asteroid belt.
But not only that, the presence of Jupiter was, owing to its size, orbit, and time of formation, crucial to the composition of the asteroid belt itself — a structure that contains millions of rocks, metals, and bits of ice. Its orbit is such that it only gently perturbs the asteroid belt. This is important because if it ventured too close, or even through the asteroid belt, it would have scattered the asteroids (no asteroids, no life on planets in the habitable zone — as contradictory as that might sound). Similarly, if it was too far, the asteroid belt would have remained massive and dense — which would have resulted in far too many impact events (thus making evolution difficult, if not impossible).
And what’s fascinating about Martin and Livio’s analysis is their suggestion that every solar system has an asteroid belt at roughly the exact same location just beyond the snow line. What varies, however, is whether or not a solar system has a gas giant to mould its composition. The scientists theorize that, owing to Jupiter, our asteroid belt is 1% the size of its original mass — a kind of Goldilocks figure that may be a key factor to life emerging and prospering in the solar system.
Consequently, the researchers suggest that astrobiologists should concentrate their searches in those solar systems where a giant planet resides outside the snow line.
You can read the entire study at Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
Image: NASA/ESA/A. Feild, STScI.
http://banglamdfarid-com.webs.com/www.banglamdfarid.com
By George Dvorsky
Our asteroid belt, which is situated between Jupiter and Mars, has traditionally been seen as something of a nuisance. Every once in awhile one of these rocks dislodges itself and heads straight for Earth, what often results in a cataclysmic impact. But ironically, as a new study from the University of Colorado suggests, we may owe our very existence to these chunks of displaced rocks. And according to the researchers, our asteroid belt appears to be unique as far as these things go — what may be contributing to the dearth of life in the galaxy.
Astronomers and astrobiologists are increasingly coming to see asteroid belts as an important component to solar system composition, planet formation, and the emergence of life.
Despite the astronomical chaos produced by impact events, asteroids delivered water, organic compounds, and heavy elements to Earth — what are all crucial for the emerge of life. They were also likely responsible for the formation of our moon (which we know is crucial for seasonal stability), and even the introduction of life itself (via panspermia). Moreover, by virtue of their ability to cause mass extinctions, asteroids may have contributed to crucial periodic phases in the evolution of complex life — the rebooting of life such that intelligence had a chance to get started (what biologist Stephen J. Gould referred to as ‘punctuated equilibrium’ phases).
And according to researchers Rebecca Martin (University of Colorado) and Mario Livio (Space Telescope Science Institute in Baltimore, Md.), not every solar system has an asteroid belt like ours — and not by a long shot. In fact, only 4% of all observed solar systems have an asteroid belt that sits past the so-called “snow line” — a celestial demarcation point that divides the inner solar system from the colder outlying regions where volatile materials such as water ice are far enough from the sun to remain intact.
The reason why our asteroid belt resides beyond the snow line is no mystery: Jupiter. And as many astronomers are now discovering, most solar systems have a giant planet that resides well inside the snow line — what may account for the rarity of asteroid belts like ours.
Soon after forming from the sun’s primordial protoplanetary disk, the gas giant’s tremendous gravity would have prevented nearby materials inside its orbit from coalescing and turning into a planet. Instead, Jupiter caused these materials to collide and break apart — creating fragmented rocks that settled into what eventually became the asteroid belt.
But not only that, the presence of Jupiter was, owing to its size, orbit, and time of formation, crucial to the composition of the asteroid belt itself — a structure that contains millions of rocks, metals, and bits of ice. Its orbit is such that it only gently perturbs the asteroid belt. This is important because if it ventured too close, or even through the asteroid belt, it would have scattered the asteroids (no asteroids, no life on planets in the habitable zone — as contradictory as that might sound). Similarly, if it was too far, the asteroid belt would have remained massive and dense — which would have resulted in far too many impact events (thus making evolution difficult, if not impossible).
And what’s fascinating about Martin and Livio’s analysis is their suggestion that every solar system has an asteroid belt at roughly the exact same location just beyond the snow line. What varies, however, is whether or not a solar system has a gas giant to mould its composition. The scientists theorize that, owing to Jupiter, our asteroid belt is 1% the size of its original mass — a kind of Goldilocks figure that may be a key factor to life emerging and prospering in the solar system.
Consequently, the researchers suggest that astrobiologists should concentrate their searches in those solar systems where a giant planet resides outside the snow line.
You can read the entire study at Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
Image: NASA/ESA/A. Feild, STScI.
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Curiosity finds no sign of methane on Mars -- but does that mean there's no life?
Curiosity finds no sign of methane on Mars -- but does that mean there's no life?:
By Robert T. Gonzalez
NASA’s Curiosity rover has been sniffing out Mars’ atmosphere in search of methane. Methane is a precursor chemical for life. It’s also thought that 95% of the methane in Earth’s atmosphere is organismal in origin. Methane on the Red Planet would therefore be suggestive of past or present life.
But in a press conference held earlier today, NASA announced that their intrepid rover had yet to find any signs of methane bouncing about the Martian firmament. Curiosity’s equipment is incredibly sensitive. Capable of detecting methane in quantities of just a few parts methane per billion parts of Martian atmosphere, it’s possible there are some undetectable traces of the gas, but still “enough uncertainty,” says NASA “that the amount could be zero.”
So what does all this mean, exactly, in the search for life (or the potential for life) on Mars? Does the absence of some tetrahedrally bound carbon and hydrogen atoms preclude the possibility of life? Is Mars a barren, lifeless wasteland? Has it always been this way? Is Curiosity rover (as its rollicking twittergänger, @SarcasticRover, implied earlier today) really “ALL ALONE ” UP THERE? ARE WE ALONE IN THE UNIVERSE?!
Hardly. I mean, maybe. Look, basically, we don’t know. A methane-containing atmosphere isn’t exactly a linchpin piece of evidence in the search for Martian life, or life-sustaining conditions; even if Curiosity HAD found traces of methane in Mars’ atmosphere, that still wouldn’t have been nearly enough evidence to say: “yes, there is/was life on Mars.” Nondetection comes with the same caveat. Planetary scientist Sarah Horst summed up the situation nicely in a tweet:
“Important to remember: no CH4 [methane] does not equal no life. just like if they saw methane that wouldn’t have been definitive evidence of life.”
Nondetection also doesn’t imply a total absence of methane. Given the detection of seasonal methane emissions from the Red Planet in 2009, one possibility is that the effects of methane sinks may currently be winning out over those of methane sources — some examples of which are depicted in the image below.
For now, it’s important to remember that Curiosity’s mission on Mars is still very much in its infancy. Methane or no, excitement surely awaits the rover in the months and years to come.
“Methane is clearly not an abundant gas at the Gale Crater site, if it is there at all. At this point in the mission we’re just excited to be searching for it,” said Curiosity scientist Chris Webster of NASA’s Jet Propulsion Laboratory in a statement. “While we determine upper limits on low values, atmospheric variability in the Martian atmosphere could yet hold surprises for us.”
Those surprises could even include traces of methane — just remember that this gas is not the end-all-be-all of evidence for (or against) life on Mars.
Read more from NASA here.
http://banglamdfarid-com.webs.com/www.banglamdfarid.com
By Robert T. Gonzalez
NASA’s Curiosity rover has been sniffing out Mars’ atmosphere in search of methane. Methane is a precursor chemical for life. It’s also thought that 95% of the methane in Earth’s atmosphere is organismal in origin. Methane on the Red Planet would therefore be suggestive of past or present life.
But in a press conference held earlier today, NASA announced that their intrepid rover had yet to find any signs of methane bouncing about the Martian firmament. Curiosity’s equipment is incredibly sensitive. Capable of detecting methane in quantities of just a few parts methane per billion parts of Martian atmosphere, it’s possible there are some undetectable traces of the gas, but still “enough uncertainty,” says NASA “that the amount could be zero.”
So what does all this mean, exactly, in the search for life (or the potential for life) on Mars? Does the absence of some tetrahedrally bound carbon and hydrogen atoms preclude the possibility of life? Is Mars a barren, lifeless wasteland? Has it always been this way? Is Curiosity rover (as its rollicking twittergänger, @SarcasticRover, implied earlier today) really “ALL ALONE ” UP THERE? ARE WE ALONE IN THE UNIVERSE?!
Hardly. I mean, maybe. Look, basically, we don’t know. A methane-containing atmosphere isn’t exactly a linchpin piece of evidence in the search for Martian life, or life-sustaining conditions; even if Curiosity HAD found traces of methane in Mars’ atmosphere, that still wouldn’t have been nearly enough evidence to say: “yes, there is/was life on Mars.” Nondetection comes with the same caveat. Planetary scientist Sarah Horst summed up the situation nicely in a tweet:
“Important to remember: no CH4 [methane] does not equal no life. just like if they saw methane that wouldn’t have been definitive evidence of life.”
Nondetection also doesn’t imply a total absence of methane. Given the detection of seasonal methane emissions from the Red Planet in 2009, one possibility is that the effects of methane sinks may currently be winning out over those of methane sources — some examples of which are depicted in the image below.
For now, it’s important to remember that Curiosity’s mission on Mars is still very much in its infancy. Methane or no, excitement surely awaits the rover in the months and years to come.
“Methane is clearly not an abundant gas at the Gale Crater site, if it is there at all. At this point in the mission we’re just excited to be searching for it,” said Curiosity scientist Chris Webster of NASA’s Jet Propulsion Laboratory in a statement. “While we determine upper limits on low values, atmospheric variability in the Martian atmosphere could yet hold surprises for us.”
Those surprises could even include traces of methane — just remember that this gas is not the end-all-be-all of evidence for (or against) life on Mars.
Read more from NASA here.
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